Articolo a cura della dr.ssa Rossella Aromando
Psicologa Psicoterapeuta
Partendo dal presupposto che per i bambini che godono di buona salute, la fame è un bisogno fisiologico, naturale e primario, possiamo desumere che le condotte alimentari si modificano in eccesso o in difetto quando diventano strumenti di comunicazione o segnali di emozioni spiacevoli.
Secondo il National Center for Clinical Infant programs il disturbo della nutrizione indica la difficoltà del bambino a stabilire modelli regolari di alimentazione con un’adeguata immissione di cibo, basata sugli stati fisiologici di fame e di sazietà.
Nell’infanzia
Durante l’infanzia le difficoltà alimentari transitorie sono molto comuni, in quanto rappresentano l’espressione di difficoltà evolutive temporanee e di lieve entità. In altri casi, le anomalie possono persistere nel tempo e assumere un carattere di disfunzionalità, tale da configurarsi come veri e propri disturbi del comportamento alimentare o dei loro potenziali precursori. È bene dunque delineare una prima distinzione tra disagio alimentare e disturbo alimentare conclamato. Vediamoli:
- Il disagio alimentare è un manifestazione meno chiara di un malessere del bambino, è un campanello d’allarme che spesso è legato alla relazione con il contesto familiare e con l’ambiente esterno. Il cibo diventa un mezzo per comunicare un malessere da decodificare;
- Il disturbo alimentare ritrae un quadro patologico più serio che va dal rifiuto totale del cibo all’iperfagia. Spesso si protrae nel tempo e si manifesta con ulteriori cambiamenti legati al gioco, al sonno, allo studio, alla relazione con gli altri.
In entrambi i casi la qualità precoce delle relazioni familiari e le risposte dei genitori ai comportamenti alimentari dei figli diventano degli elementi cruciali.
Una relazione “sana”
Una relazione “sufficientemente sana” richiede un buon adattamento tra le caratteristiche individuali del bambino, lo stadio di crescita e le capacità dei genitori di sintonizzarsi e adattarsi alle esigenze del figlio. Sin dalla nascita i bambini hanno differenze individuali nei cicli di fame-sazietà. Accade spesso, tuttavia, che di fronte a un bambino che mangia poco, per quantità e/o per qualità, o che addirittura rifiuta il cibo, i genitori sperimentino uno stato di ansia e di preoccupazione. Quando la mamma non è in grado di leggere in modo corretto i bisogni del figlio spesso attiva dinamiche relazionali disfunzionali, generate da uno stato di apprensione, di frustrazione e di rabbia. Questa dinamica ha un duplice effetto negativo per il bambino: da un lato non lo aiuta a sviluppare il naturale processo di ricerca del cibo, dettato dalle sensazioni di fame e sazietà; dall’altro lo priva del piacere dello scambio affettivo e nutritivo del cibo.
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